Antropologica, filosofica, religiosa, politica: la natura del segreto è caratterizzata da una pluralità di dimensioni che, pur legate alle concrete esperienze storiche, ne indicano il carattere ineludibile. Maschera o silenzio, strategia di invisibilità o strumento di dominio, meccanismo di esclusione o forma di protezione: nel suo percorrere trasversalmente la sfera pubblica e la sfera privata, il meccanismo della segretezza non è rilevante solo per il suo contenuto, ma soprattutto per la sua forma. Sia essa chiusa — come occultamento di contenuti o di oggetti — o aperta — come organizzazione di relazioni e di appartenenze – , la forma del segreto sembra sfuggire alla logica binaria tra visibile e invisibile: è spesso oggetto di segretezza ciò che è sotto gli occhi di tutti, rito sacrificale o messaggio cifrato, decisione politica o strumento tecnico-informatico.
Numerose sono le tappe che le pratiche di segretezza hanno attraversato nella storia della cultura occidentale, dai riti di iniziazione ai culti misterici, dalla dissimulazione barocca alla ragion di Stato, dall’emergere della sfera dell’intimità all’idea della privacy. Nelle pratiche religiose del mondo antico la dimensione iniziatica dei culti segreti risponde alla ricerca dell’identità del gruppo e alla formazione di un concreto vincolo politico e comunitario capace di elaborare le più profonde domande dell’uomo sulla natura e sugli dèi. Con la formazione del mondo moderno e la progressiva affermazione della sfera intangibile dell’interiorità personale, l’elemento religioso si sposta da un piano pubblico a un piano privato: la dimensione centrale diventa quella politica, soprattutto a partire dalla formazione delle prime sovranità nazionali che, erodendo il sistema dei “corpi intermedi”, istituiscono un rapporto di dominio diretto dello Stato sul cittadino. E’ l’epoca della dissimulazione e della reticenza sui “segreti del cuore”, efficacemente rappresentata dalla figura del libertino che identifica l’utilità della segretezza con la protezione della libertà di pensiero.
Nell’età contemporanea sembra rovesciarsi il rapporto di valore tra sfera pubblica e sfera privata che aveva contraddistinto la nascita del moderno: la difesa della legittimità del segreto ‘privato’ e della scelta individuale diviene allo stesso tempo una critica di ogni principio diretto di autorità. Il meccanismo decisionale della democrazia moderna – tendente alla pubblicità e alla trasparenza — sembra entrare in crisi sotto le spinte divergenti dell’individualizzazione delle preferenze, da un lato, e della globalizzazione economico-informatica, dall’altro. Non a caso, la progressiva accelerazione nella produzione di oggetti, relazioni, immagini e informazioni produce nuove forme ‘invisibili’ di segretezza attraverso la moltiplicazione dei dati disponibili. La relazione sociale risulta segnata da una diffusa aspirazione alla segretezza, intesa come fonte di distinzione e separazione, di identità e riconoscimento, secondo meccanismi di inclusione/esclusione caratteristici delle appartenenze etniche e religiose e dei gruppi sociali chiusi.
In questo nuovo carattere della vita contemporanea si rinnova, in una forma autocontraddittoria, oscillante tra difesa del ‘dettaglio’ e aspirazione all’universalismo, la potenza della segretezza che svolge il compito di proteggere l’opacità, sia essa privata o condivisa, contro una trasparenza del contenuto e della forma, considerata sempre possibile, ma pericolosa per la costruzione di un’identità in grado di fornire senso e significato alle forme di vita individuale e sociale. Il richiamo filosofico ad una opacità insuperabile nella conoscenza e nella comunicazione della verità, al carattere fondativo del segreto per l’intera esperienza umana, indipendentemente dalle diverse declinazioni storico-sociali, mette capo a una diretta assunzione di responsabilità nei confronti dell”indicibile’ che si configura al tempo stesso come ‘cura’ del segreto e come critica alle pretese di totale trasparenza.
Riepilogo
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