Peccati individuali e colpe collettive, responsabilità personali e crimini contro l’umanità, meccanismi di punizione e ricerca della giustizia. A questi temi è dedicato il volume “Peccato e pena: responsabilità degli uomini e castigo divino nelle religioni dell’Occidente”, che sarà presentato lunedì 17 dicembre alle 17.30 nel teatro della Fondazione san Carlo, in via san Carlo 5 a Modena (in vendita a 34 euro da gennaio nel sito www.fondazionesancarlo.it).
Pubblicato dalla Fondazione e dalla Banca popolare dell’Emilia-Romagna, il volume sarà illustrato dai curatori Michelina Borsari e Daniele Francesconi e dalla giornalista Gabriella Caramore, conduttrice di “Uomini e profeti” su Radio 3 Rai. Introdurranno l’incontro Gian Enrico Venturini della Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Roberto Franchini, presidente della Fondazione san Carlo.
Il percorso suggerito dal volume – che raccoglie in 216 pagine accompagnate da oltre 200 immagini a colori sette saggi di un ciclo di lezioni organizzato lo scorso anno dal Centro studi religiosi – mostra le matrici religiose e teologiche delle forme di colpa e di pena che hanno caratterizzato l’Occidente e che fondano la costituzione morale della nostra epoca, segnata da un recupero del linguaggio del peccato.
La matrice greca, di cui si è appropriato il progetto filosofico della Modernità, spiega il filosofo della politica Pier Paolo Portinaro, individua nel male un errore, una patologia della ragione dovuta al turbamento delle passioni che è in linea di principio superabile. La tradizione cristiana invece articola il male nel linguaggio della colpa originaria: il confronto con il racconto biblico della caduta si rivela ineludibile per la riflessione filosofica moderna, come ricorda il filosofo della religione Marco Ravera, perché coinvolge le definizioni di libertà, responsabilità, finitezza e umanità. Anche la figura di Edipo, centrale nella costruzione dell’idea di colpa per la sua notevole “fortuna critica” in ambito psicanalitico, se accostata con le categorie disponibili alla civiltà greca, avverte Guido Paduano, professore di Letteratura greca, risulta innocente dalle accuse di parricidio e incesto (quanto meno nella loro valenza “volontaria”) e rinvia piuttosto ai codici dell’impurità rituale e della vergogna.
Sarà il cristianesimo, per il suo carattere di religione di salvezza, ad intendere la colpa e i dispositivi di riparazione come elementi fondanti. Nel suo saggio, lo storico del cristianesimo Roberto Rusconi ne ripercorre le principali trasformazioni durante l’età medievale, nel passaggio dal carattere fortemente sociale e pubblico della penitenza all’affermarsi, tra XIII e XIV secolo, della confessione auricolare e sacramentale che innesca processi di interiorizzazione della colpa e di privatizzazione della pena. Nello stesso tornante si consuma la trasformazione della confessione in senso giudiziario, con il confessore caratterizzato non più dalla metafora del medico che cura le anime, ma dalla figura del giudice insediato nel tribunale della penitenza. La doppia inversione operata da Lutero rispetto alla concezione medievale del peccato viene esaminata dal filosofo Mario Miegge. Nutrito dalle Lettere di Paolo, Lutero elabora una visione unitaria e altamente drammatica del male: sul piano individuale, esso si manifesta ai vertici della vita spirituale e consiste nel sostituirsi alla grazia incondizionata di Dio per autogiustificarsi attraverso le opere, mentre sul piano collettivo coincide con la figura apocalittica dell’Anticristo, potere insediato nella curia romana a sostituzione della sovranità di Cristo.
Alla teologia della colpa e della pena è dedicato il saggio di Alberto Bondolfi, professore di Etica a Losanna. Il quadro di sfondo è costituito dal costante rinvio reciproco delle categorie giuridiche e teologiche evidente negli snodi più rilevanti dell’era cristiana: la teoria paolina della giustificazione attraverso Cristo, la sovrapposizione di peccato e delitto avviata in età costantiniana, la giuridicizzazione medievale della confessione e soprattutto la “teoria della soddisfazione vicaria” di Anselmo, che esprime in termini di diritto penale il ruolo riparatore delle sofferenze di Cristo.
Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, articola infine le caratteristiche della giustizia riconciliativa o restaurativa. Rispetto alle nozioni classiche di giustizia – distributiva, commutativa e retributiva – e al loro carattere astratto e formale, la giustizia restaurativa, che affonda le sue radici nell’antica procedura ebraica del ryb, il litigio riparatore, mira a riallacciare i concreti rapporti sociali incrinati a seguito di un’ingiustizia. Tali procedure di riconciliazione si sono tentate in diverse situazioni contemporanee di profonda divisione tra gruppi sociali, come quelle del Sudafrica post-apartheid e ad esse si guarda per ricomporre il conflitto israelo-palestinese.